Dieci anni fa vinceva a New York: la celebrazione in tv. “Sinner e Alcaraz favolosi, a Torino sarebbe la finale perfetta”

11 novembre 2025 (modifica alle 10:21) – TORINO

Poche parole, una tenera raccomandazione materna: “E allora, se è l’ultimo, cerca di farlo bene…”. Così Flavia Pennetta racconta cosa le disse sua mamma quando le annunciò che ‘quello’ Us Open sarebbe stato l’ultimo Slam della carriera. Lo racconta Flavia nel docufilm che ripercorre quella straordinaria finale con Roberta Vinci nel 2015 dal titolo “Flavia a New York, 10 anni dopo” in onda da domani su Sky e in streaming su Now. Ora la Pennetta è a Torino, alle Finals, dove sarà impegnata come commentatrice del torneo. Ieri, alla presentazione, anche la sorpresa del marito Fabio Fognini, scappato dalle prove di Ballando con le Stelle a Roma per condividere un momento emozionante. 

Flavia, che effetto le ha fatto ripercorrere quella bellissima avventura? Dieci anni sono tanti, ma sembra passata una settimana. 

“È stata una bellissima occasione, quasi una coccola. Poche volte ci fermiamo davvero a pensare a quello che abbiamo fatto di buono nel passato. Nel ritmo del lavoro, dei figli, degli impegni, non ti capita quasi mai di metterti seduta e dire: ‘Ok, adesso ripenso un po’ alla mia vita, alla mia carriera’. Ho ricordato momenti che avevo messo in un angolo della memoria, rivissuto emozioni dell’infanzia, dei primi tornei, delle vittorie e delle sconfitte. La mia storia”. 

Cosa direbbe alla Flavia di quegli anni? 

“Che è stata spaziale. Me lo direi proprio così, senza falsa modestia (ride). Mi farei le congratulazioni da sola: ‘Sei stata forte, hai fatto cose incredibili, hai ottenuto risultati che non immaginavi’. Perché oggi, quando mi rivedo giocare, penso davvero: ‘Accidenti, giocavo bene’. Riguardo certe partite, alcune soluzioni tecniche, certi scambi, e mi dico: guarda lì che cosa riuscivo a fare, che coraggio avevo in certi momenti. È una sensazione nuova, quasi sorprendente, perché quando sei dentro la carriera non ti concedi mai questo sguardo benevolo su te stessa”.

Guardarsi da fuori è tutta un’altra prospettiva. 

“Quando sei nel tour non ti fermi mai. Dai tutto un po’ per scontato, anche le cose belle che ti stanno succedendo. Non ti dici mai ‘brava’, non ti prendi quasi mai il tempo per riconoscere un merito. È tutto un ‘ok, ho vinto questo torneo, adesso ne arriva un altro, devo prepararmi’. È rarissimo che ti prenda quel momento in cui ti fermi e ti dici: ‘Oh, guarda che percorso’. Adesso che certe cose in campo non riesco più a farle, che il fisico e l’età sono cambiate, lo vedo ancora di più: mi rendo conto del valore di quello che facevo con una lucidità che allora non avevo”. 

Il documentario lo farà vedere ai suoi figli? 

“Sicuro. Le ragazze sono ancora un po’ troppo piccole per capire tutto, ma Federico lo guarderà volentieri, sono sicura. Già dal trailer sono impazziti: ‘Cos’è mamma? Quando esce? Ma parli di noi?’. Ed è bello poter rispondere di sì, che in quel racconto ci sono anche loro, che fanno parte di quello che sono diventata”. 

Lei ora è uscita dal campo per rientrare come commentatrice: da queste Finals che cosa si aspetta? 

“Una finale Sinner-Alcaraz, soprattutto perché sarebbe una conclusione perfetta della stagione: due Slam a testa, un percorso incredibile di entrambi, e poi lì a giocarsi il numero 1 del mondo nell’ultimo grande torneo della stagione. Sarebbe il finale perfetto per una serie”. 

La superficie è perfetta per Sinner, un po’ meno per Carlos.

“Su Jannik, onestamente, ho pochissimi dubbi: questo ragazzo dà sempre una sensazione di controllo, indipendentemente da chi ha davanti. Ha sicuramente qualcosa in più su questa superficie rispetto agli altri, sia per caratteristiche tecniche sia per il tipo di fiducia che si è costruito indoor negli ultimi anni. Ha un’intensità e una continuità che, al momento, vedo in pochissimi”. 

Alcaraz comunque ha cominciato subito bene. 

“Sì è maturato molto quest’anno. Agli US Open si è visto dal primo match che aveva fatto un ‘click’: affrontava il torneo in un modo diverso, più lucido, più concreto, quasi più ‘adulto’“. 

Prima volta con due italiani al torneo finale in singolare. Una storia lunga partita anche dalla sua impresa. 

“Penso che in questo momento siamo il Paese più invidiato a livello di tennis. Sinner e Musetti nel torneo tra gli otto migliori giocatori al mondo dà a tutto un sapore ancora più speciale, e poi c’è anche il doppio. C’è tanta Italia da vedere e da applaudire”. 

Jannik e Carlo, due Slam a testa, un percorso top e poi lì a giocarsi il numero 1 del mondo nell’ultimo grande torneo della stagione. Sarebbe il finale perfetto per una serie

Tornando a New York, ma lei ogni tanto la sogna ancora quella finale? 

“No, non l’ho mai sognata. Non l’ho archiviata, attenzione: non è che l’ho messa in un cassetto chiuso per sempre. Sono sicura che a un certo punto tornerà fuori in qualche modo, magari in un momento in cui meno me l’aspetto. Però, dormendo, nei sogni, non è mai tornata. E se ci penso è stranissimo, perché è uno dei giorni più importanti della mia vita. Chissà, forse è perché l’ho vissuta pienamente. È realtà, non ho più bisogno di sognarla”.